Pubblicare senza intermediari è in sé molto semplice, occorre però accordarsi con precisione sulla terminologia. È evidente che si intendono esclusi i fornitori di servizi e l’editoria a pagamento.
Se con il verbo ‘pubblicare’ intendiamo l’atto del rendere accessibile a chiunque, rendendolo di pubblico dominio, il proprio testo, sia questo un racconto, un romanzo o una raccolta, è sufficiente aprire un proprio sito web e imparare a gestirlo, oppure, e ancora più semplicemente, aprire un blog o pubblicare a puntate su Facebook.
L’unica ulteriore incombenza della quale l’autore dovrà farsi carico, solitamente espletata dall’editore nel caso della macroeditoria tradizionale, riguarda la promozione, e sarà l’autore stesso in questo caso a scegliere se darsi alle tecniche del web marketing o accontentarsi di aumentare lentamente, magari attraverso il passaparola, il numero dei propri affezionati lettori.
Ciò che pubblichiamo in questi casi è però in gran parte puro testo. Se utilizzando il termine ‘libro’ ci riferiamo ad un oggetto complesso, costituito anche da elementi estranei alla componente testuale originale, ossia tutto ciò che tecnicamente può essere definito paratesto, le cose si complicano: compaiono parole come frontespizio e colophon le quali si portano dietro altre parole come copyright, o acronimi come ISBN.
Optare per una pubblicazione digitale significa, volenti o nolenti, rapportarsi ad una dimensione legislativa che non si differenzia in modo sostanziale da quella che incontriamo in ambito cartaceo, cambiano solo gli aspetti tecnologici, cambia il supporto.
La legislazione del self-publishing
Talvolta gli aspetti legislativi vengono esclusi a priori, un tempo si chiamava stampa clandestina, oggi la si può chiamare libro d’artista se non prevede riedizioni, ed ha una gloriosa storia alle spalle. L’editoria autoprodotta in questi casi riguarda il libro come oggetto fisico, come artefatto materiale e rientra in gran parte nell’ambito delle arti visive, risponde ad una esigenza creativa diversa e richiede il sovrapporsi delle figure dell’editore e dell’autore.
Quest’ultimo, dopo la fase di ideazione e progettazione, si occupa della costruzione materiale del prodotto, della sua promozione e distribuzione al pubblico, attraverso canali spesso alternativi.
Nel frattempo il verbo ‘pubblicare’ è stato abbandonato e sostituito con una terminologia che rimanda a cicli produttivi completi e interdisciplinari perché l’ambito cui si fa riferimento non si esaurisce più con un testo divulgato liberamente attraverso reti telematiche, formati digitali semplici da utilizzare o comuni fotocopie. L’autoproduzione editoriale comporta la necessità di mettere in campo diverse competenze tecniche, dalla grafica alla tipografia, oltre che capacità manageriali.
Significa svolgere tutte quelle attività di mediazione e intermediazione normalmente svolte dagli editori per cui la scelta, per coloro che decidono di autoprodursi non volendo affidare completamente il proprio ‘libro’ ad un editore che di fatto inizierà a gestirne la pubblicazione scavalcando interamente l’autore a seguito della stipula di un formale contratto, diviene questione di posizionamento, all’interno o all’esterno di un sistema rigidamente normato.
Se si sceglie di restare all’interno e con finalità commerciali l’iter inizia, come per tutte le attività imprenditoriali, con l’iscrizione al registro per le imprese presso la Camera di Commercio.
Esiste infine, come sempre, la possibilità di porsi in una situazione ‘borderline’ affidandosi ad un piccolo editore.
La microeditoria permette all’autore di non vedersi interamente strappare dalle mani il proprio libro, consente rapporti ancora umani e gestibili all’interno dei quali l’autore può, ad esempio, pensare di autopromuoversi e autodistribuirsi, sul web come in fiera, pur continuando a condividere con l’editore i valori formali e contenutistici della propria opera e, nei casi più felici, senza restrizioni nei riguardi delle proprie potenzialità espressive.